Lo sguardo perso nel vuoto e la mente avvolta nei pensieri, una pausa dalla scrittura e forse la malcelata consapevolezza di essere ritratta; le mani giunte a sostegno del mento e un libro aperto dinanzi a lei.
Così la ritraeva il fratello Dante Gabriel Rossetti: una donna fiera del proprio ruolo, una scrittrice moderna e impegnata socialmente, ma al contempo discreta e poco mondana, anche a causa della salute già da tempo precaria. Ecco chi era Christina Georgina Rossetti.
Nata a Londra il 5 dicembre 1830, fu educata in casa dalla madre Frances Polidori, di origini italiane, subendo l’influenza artistica del padre, il dantista e poeta italiano Gabriele Rossetti, esiliato politico. Si avvicinò con la madre e la sorella alla chiesa anglicana e sebbene si impegnò sentimentalmente per ben due volte, proprio la devozione religiosa le impedì di sposarsi. Tuttavia, dietro a quella che sembrerebbe a tutti gli effetti una vita semplice, quasi vuota, si cela molto di più.
Christina Rossetti iniziò a comporre molto presto, ma vide pubblicata la sua prima raccolta di poesie solamente all’età di 31 anni: “Goblin Market and Other Poems” ("Il mercato de' folletti") del 1862 ottenne una critica a dir poco favorevole e la rese una delle più grandi poetesse di epoca vittoriana, salutata come naturale erede di Elizabeth Barrett Browning, nonché simbolo di forza, intelligenza e creatività femminile.
In "Goblin Market", Rossetti presenta ai suoi lettori la storia di due sorelle costrette a resistere ai piaceri carnali per poter successivamente raggiungere una sfera sessuale pura e superiore: il matrimonio. Il poemetto, capolavoro della letteratura inglese, si presenta dunque come un racconto di rinuncia. Ciononostante la negazione dei desideri e dei bisogni del corpo non è realmente presente, bensì si palesa come unico mezzo possibile tramite cui raggiungere la vera essenza della propria anima. Non a caso Lizzie e Laura, le due protagoniste, sono precocemente portate a sperimentare un violento ed inusuale processo di crescita, il cui scopo è insegnare loro ad accettare l'importanza della propria natura terrena tanto quanto quella del lato spirituale del proprio essere, nell'ottica della vita coniugale vittoriana.
Il poema si apre sull'orizzonte di un paesaggio fatato, in cui la realtà di una bucolica esistenza pastorale risulta trasportata in un universo di colori sgargianti ed artificiali - dal
gusto preraffaelita - dove lo splendore del panorama è accompagnato dall'incessante grido dei folletti (goblins), avidi venditori che dai ricchi banconi del loro mercato tentano di attrarre la clientela all'assaggio delle loro deliziose merci. “Vieni compra, vieni compra!” (l. 4): è così che si apre il poemetto. L'esplicito riferimento sessuale nelle parole dei folletti appare chiaro dalle descrizioni seducenti e senza filtri dei frutti esposti: "Ciliegie grosse e intatte/... Pesche dalle gote floride, / Gelsi dalla testa scura, / Mirtilli palustri nati in libertà /... Melagrane belle piene" (II. 7, 9-11, 21). Gli spiritelli stanno cercando di vendere la merce - loro unica fonte di guadagno - ma il loro vero scopo è quello di risvegliare e fare appello alle voglie e agli istinti inibiti delle due donne, così da possedere simbolicamente i loro corpi anche solo attraverso il linguaggio: "dolci alla lingua e intatti agli occhi" (I.30).
Si tratta di un canto delle sirene che Laura e Lizzie, le quali non desiderano né vedere né sentire tanta malvagità, sembrano decise a voler evitare. In effetti i folletti non rappresentano gli aspetti più generali della sessualità umana, bensì le sue forme più mondane e lussuriose. Contrariamente da quanto dettato dai precetti vittoriani sulla giusta unione tra un uomo e una donna, ciò a cui aspirano queste creature inquietanti è il contatto fisico con il corpo, escludendo il suo equivalente immateriale: l'anima.
L'erotismo in sé, infatti, non è ritenuto un peccato, a differenza della visione distorta che ne hanno i folletti, motivo per cui le loro grida risultano tanto seducenti alle orecchie delle due vergini.
Cionondimeno, se questi 'omini' incarnano i piaceri sessuali più bassi presenti in natura, è pur vero che l'acquisto e il consumo volontario dei frutti da parte di Laura—forse così chiamata per richiamare la figura di donna ideale secondo Petrarca —assume inizialmente un valore allegorico legato alla perdita della sua purezza. La sua 'caduta' appare chiara quando allungando "il suo collo splendente / Come un cigno incastrato tra i giunchi", Laura comincia ad incitare Lizzie a guardare i folletti, mentre poco prima cercava di evitare anche il solo pensiero dei movimenti veloci e delle affermazioni sgradevoli di quegli esseri meschini.
Laura commette però l'errore di credere di dover pagare i frutti con del comune denaro, di cui tra l'altro non è in possesso. Ciononostante, gli spiritelli sanno bene quanto la loro merce sia in grado di adescare l'ingenua ragazza: "Hai tanto oro sulla testa /... Compra da noi con un ricciolo d'oro" (ll. 123, 125).
Dopo aver acquistato i loro frutti in cambio di una parte del suo corpo - in questi caso i capelli - e averne assaggiato uno con fare sensuale, Laura è definitivamente 'caduta'.
Evidente è il diretto collegamento tra la redenzione spirituale e il servizio sociale fornito dalla Casa di Carità di St. Mary Magdalene ad Highgate, un rifugio per 'fallen women' (generalmente prostitute), dove la Rossetti lavorò come volontaria dal 1859 al 1870, venendo a contatto con una realtà poco conosciuta dalla maggior parte delle signore vittoriane. Ciò diede alla poetessa molto materiale su cui lavorare, mentre la sua fede fervida fornì quanto necessario a bilanciare le considerazioni nate e portate avanti sul lavoro.
Non a caso la perdizione di Laura è controbilanciata da Lizzie, il 'Cristo' che lotta per la redenzione sia spirituale sia terrena della donna peccatrice.
L'acquisto di Laura resta però una perdita meramente simbolica, non reale, della sua verginità. Sebbene molti studiosi ritengono che Laura sia la 'donna perduta' e Lizzie rappresenti la sua salvezza come 'programma di recupero' - proprio come quello offerto dall'autrice nella sua opera di volontariato - tale lettura non risulta applicarsi correttamente al componimento. Prima che Laura e Lizzie diano ascolto alla chiamata dei folleti, questi vengono paragonati a uomini, a creature comuni e fornite di intelletto. Non appena Laura risponde alle loro incessanti richieste ("Vieni compra!"), questi assumono invece caratteristiche ferali, meno umane; in men che non si dica gli spiritelli appaiono sulla scena come gatti, ratti, lumache, vombati, tassi e volatili. Parallelamente, il peccato di Laura sfocia nella sua oggettivazione; all'improvviso, infatti, anche la ragazza diventa ruscello, cigno, giglio, albero, nave. E' questa la disumanizzazione in cui Laura diviene solo merce da compravendita - e da cui Lizzie tenta di salvarla - e non il suo stato di 'fallen woman'. Lizzie accorre in soccorso di Laura così che quest'ultima possa riconoscere la propria sessualità e femminilità da una prospettiva più sana: il matrimonio, ossia l'unione sacra di corpo e spirito e la celebrazione delle passioni terrene unite a quelle spirituali.
Il contrasto realizzato tra Laura e Lizzie risulta estremamente interessante nell'analisi da parte dell'autrice del significato delle aspettative vittoriane nei confronti delle donne, se non nel suo anticipare al lettore la futura apparizione di Lizzie come Cristo redentore. Lizzie si configura non a caso come l'ideale donna vittoriana, caratterizzata da giusti valori e da modestia, contenuta, pacata, gentile e zelante. Per contro, sebbene Laura continuerà a lavorare presso la fattoria della sorella, perderà rapidamente il suo interesse nel tenere puliti i pavimenti, nutrire i vitelli e le galline e raccogliere il miele. Al contrario, la sua esistenza verrà trascinata in un perpetuo stato di distrazione e speranza per l'arrivo della notte (di giorno e di notte, Laura sembra infatti intrappolata in un sogno). Ad emergere stavolta è quindi l'estrema importanza del lavoro nella società vittoriana: si assiste infatti ad un prematuro appassire della bellezza e della salute della ragazza, avvenuto nel preciso momento in cui questa decide di smettere di lavorare.
La Rossetti si dice estremamente critica di fronte a un simile atteggiamento, soprattutto in una donna, ed è per tale motivo che a Lizzie spetterà il compito di riportare Laura alla vita domestica.
Tuttavia, l'astinenza di Laura dai frutti velenosi la sta consumando. E' così che, desiderosa di salvare la sorella, Lizzie porta con sé un penny d’argento e si reca al mercato magico dove la accolgono mostruose creature apparentemente benevole, ma dall'aria ambigua e a tratti malvagia. Rifiutando il loro invito a gustare i frutti prelibati, ma mostrando la sua ferma intenzione a volerli acquistare per salvare sua sorella, la donna scatena l’ira delle creature magiche che cominciano a picchiarla cercando di “forzarla” ad assaggiare i frutti proibiti, premendoli persino sulle labbra serrate di lei. Non appena gli spiritelli comprendono finalmente che Lizzie non aprirà mai la bocca, questi scompaiono e la donna corre dalla sorella in fin di vita per farle bere i residui del succo di cui è coperta su tutto il corpo. Laura si salverà, ma non prima di aver imparato un'importante lezione (allegorica) : 'Mai seguire le voci lusinghiere dei folletti!'
Dietro alla combinazione di una metrica a rime irregolari - in cui lo stesso John Ruskin, importante membro della Confraternita dei Preraffaelliti, riconobbe quella che definì la “calamità della poesia moderna” - e di una trama semplice, si nasconde però una doppia interpretazione di stampo religioso e femminista, la quale ancora oggi rende quest'opera una dei componimenti di poesia vittoriana più apprezzati. Tra le tante delle sue ipocrisie, ciò che forse rende degno di stima il periodo vittoriano fu proprio lo spirito di 'sorellanza' che invitava le donne ad aiutare quelle che avevano trasgredito alle regole del decoro permettendo loro di redimersi e reinserirsi nella società. Sebbene si tratti di un'età di contraddizioni - e la realtà fu dunque in molti casi profondamente diversa - temi principali del poemetto risultano essere proprio i valori di redenzione e sorellanza, contrapposti all'abuso e alla forzatura sessuale.
Christina Rossetti [in foto] ha voluto e saputo dare speranza a quelle donne violate che hanno scelto per volere o per necessità la via della prostituzione, ma anche a quelle donne che già a partire dalla seconda metà dell'Ottocento cominciarono ad unirsi nella lotta per i diritti, ricordando loro - quasi ad anticipare quello che sarà poi il motto di sorellanza delle Suffragette - di quanto insieme fossero in grado, emancipandosi, di superare qualunque ostacolo e qualunque barriera.
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