John Singer Sargent, The Black Brook |
Nell'inverno del 1912, con la modernità che colonizzava velocemente la cultura inglese, un gesto tanto melodrammatico acquisì l'aspetto di uno sguardo rivelatore al passato. Ma mentre all'inizio del XX secolo Hardy si ritrova oppresso da un dolore nuovo, alla sua vera crescita si assiste in realtà nel secolo precedente.
Quando scrisse riguardo la sua terribile perdita, Hardy non fece altro che rimuginare sul senso dell'era Vittoriana, quando i due coniugi si conobbero e si innamorarono—e il Thomas Hardy scrittore cominciava appena a confrontarsi con il Realismo.
Alcuni decenni più tardi, il loro matrimonio si era ormai da tempo congelato nella cupezza della negligenza e di un decisivo allontanamento, causati dallo stesso Hardy, il quale passò notti insonni accanto alla bara ancora aperta di lei, rimpiangendo il tempo perduto; il loro letto, tuttavia, non fu tanto più caldo quando Emma era ancora in vita, tant'è che lei si era da tempo spostata nelle stanze dell'attico. Eppure la sua morte riaccese un affetto che prosperò—e sprofondò disperato—nella nostalgia, e nei due anni successivi, Hardy, ormai conosciuto e apprezzato per i suoi romanzi, scrisse alcuni dei componimenti in versi più celebri in lingua inglese. Semplicemente intitolati "Poems of 1912-1913", le poesie su Emma gettano luce su due epoche intrecciate tra loro sotto ogni aspetto.
Il poeta analizza la primavera del loro corteggiamento a partire dall'inverno della morte di lei, innestando l'intenso sentimentalismo della poesia Vittoriana allo stile più cinico e turbinoso del nuovo secolo. Allusive eppure dirette, liriche eppure asettiche, eleganti eppure chiare, le poesie stanno a cavallo tra la fine di un'era e l'inizio di un'altra.
Hardy ritratto da Reginald G Eves |
Si tratta di una delle liriche brevi migliori di Hardy e la trama presta fede al suo titolo: "Presso la pietra Druida, / Che incombe in giardino, pallida e solitaria", comincia il poeta, mentre improvvisamente pochi alberi, piegati dal vento "con regolare cadenza", formano una sequenza di "cangianti ombre", le quali, si immagina, sono disegnate sul granito da una qualche forma ultraterrena di quella che in vita era stata Emma.
Hardy è tutt'altro che superficiale nelle sue scelte linguistiche. Bisogna dunque soffermarsi sul messaggio incluso nella "roccia Druida". Pietre di origini druide possono in alcuni casi essere tenute nel palmo di una mano, altre volte costituiscono delle complesse ed enormi strutture; sebbene queste siano di formazione naturale, si pensa che molte siano il risultato di costruzioni da parte dei Druidi, abitanti della Gran Bretagna celtica. Il profilo naturale britannico è molto cambiato nei secoli, ma ancora ospita molte testimonianze di tali 'misteri rocciosi' - il più famoso, Stonehenge.
Sito neolitico di Stonehenge (Wiltshire) |
Tra l'altro, molti ritengono che le pietre Druide posseggano poteri magici, il che rende lecito che tale pietra porti alla mente il soprannaturale, o almeno la sospensione del dubbio.
C'è inoltre da notare quanto stranamente Hardy descriva sua moglie: Le ombre "con la sua forma" / "Il fantasma di un capo e di due spalle conosciute intenti al giardinaggio". Descrivere la propria moglie ormai defunta con l'aggettivo "conosciuta" è un'evidente minimizzazione; non si tratta solo di una descrizione piattamente astratta, ma di una che limita persino il suo ricordo alla vaghezza di un'ombra. Una ragione per cui descrivere Emma in tale maniera sarebbe per limitare, almeno in parte, il divario tra ciò che è reale di lei e ciò che invece viene ora immaginato. Non si tratta, dopotutto, di un'illusione elaborata. Infatti, è soltanto quando un'effimera folata di vento sposta i rami di un albero, che quest'ombra appare, il che significa che tale forma è destinata a scomparire al calmarsi del vento. Passando dal fardello della realtà al discorso poetico, Hardy afferma ad alta voce - quasi come stesse parlando ad Emma - "'Sono sicuro che sei ora dietro di me, / Eppure in che modo puoi camminare di nuovo su questo vecchio vialetto?' / E non vi fu alcun rumore se non un cadere di foglie / Come una triste risposta.'" La poesia di Hardy inizia così a trattare meno di un'illusione e più dello sconforto che la segue.
Emma Gifford, prima moglie di Hardy |
Nel 1912, all'età di 72 anni, Hardy non trovava più pace nelle consolazioni cristiane e il suo riferimento alla pietra Druida è solo la prima immagine pagana presente nella poesia. Più importante è la descrizione che fa di Emma come "modellata, nella mia mente, dall'ombra", un'allusione al mondo sotterraneo dell'Ade, dall'antica tradizione greca, e in particolare al mito struggente di Orfeo ed Euridice. Così, se l'aldilà classico è al di sotto dell'uomo e tanto remoto, forse quello moderno potrebbe essere in superficie, stando all'immaginazione frustrata di un uomo perso in congetture nel proprio giardino. Come il poeta intravede l'ombra di una donna in passato ben delineata, allo stesso modo il giardino recintato rappresenta anch'esso il fantasma della sua ormai svanita vitalità. Il riferimento al colore – " il giardino bianco e solitario", suggerisce una sorta di vuoto incolmabile, mentre l'unica menzione di vegetazione è quella degli alberi ombrosi e le loro foglie "morte" (probabilmente in autunno, stando al rumore che producono, riecheggiante di una "triste risposta"). Non è inoltre possibile ignorare l'unico ricordo diretto di Emma che Hardy ci confida in questa poesia, ossia quello dell'amore di lei per il giardinaggio: il giardino era vivo quando ancora lo era lei, ma ora quella stagione vibrante è finita.
Nell'ottica di questa tetra prospettiva, Hardy presenta un dilemma: lui, poeta e uomo, dovrebbe voltarsi a verificare che Emma sia lì alle sue spalle, o lasciare che l'illusione resti immacolata? "Per tenere a bada il dolore", ragiona, "Non volterei lo sguardo per scoprire / Che non vi è nulla se non dolore": "'Non si può dimenticare il ricordo / Di una forma che, in qualche maniera, potrebbe essere lì". Il poeta intuisce che Emma potrebbe essere lì, ma sarebbe troppo rischioso provare, in quanto risulterebbe poi impossibile tenere a bada la sofferenza, lì dove la donna amata dovesse effettivamente essere assente. Tuttavia in Hardy il momento di visione non è né intensificazione luminosa dell'essere - come in Virginia Woolf - né joyciana epifania dell'essenza dell'Altro: è piuttosto celebrazione di una mancanza costitutiva. Duplice passaggio di un vuoto: perdersi del poeta nel tempo neutro dell'intervallo e della frattura, caduta della visione nell'immanenza e nella relatività.
Hardy e la seconda moglie Florence Dugdale |
Per tale ragione, Hardy guarda anche alla parte opposta della sua parziale illusione: "Eppure volevo voltarmi e verificare", afferma, "che nessuno stesse dietro di me." Desiderare di controllare che nessuno sia lì, in quel momento, sta nell'impulso hardiano a confermare la sua triste consapevolezza che i fantasmi non sono reali: un bisogno distintamente moderno, il suo, di dissipare il sentimento a favore della sostanza. Eppure ciò che trattiene Hardy dal voltarsi è anche quello stesso sospetto che potrebbe ritrovarsi da solo. Il dubbio, quindi, domina sia la tentazione del poeta a guardare sia la voglia di non farlo. D'altronde già nella prima strofa, Hardy riconosce che le ombre si erano "nella mia immaginazione meramente aggregate nella forma di mia moglie." Egli dunque conosce la verità. Non riesce semplicemente a scontrarsi, attraverso lo sguardo, con la realtà dell'assenza di lei: è preferibile un gioco d'ombre o un'illusione ottica al dolore messo a nudo come quella roccia "bianca e minacciosa".
Il contesto in cui si apre "L'ombra sulla roccia" pone una questione più ampia: a quale luogo appartiene la fantastica illusione di Hardy? Al presente o al passato; al dominio della mente o a quello della realtà; alla fede o allo scetticismo? Una simile domanda - senza neanche il bisogno di trovare ad essa una risposta definitiva - ricorda in quale misura la tensione tra ragione ed immaginazione giochi un ruolo di prim'ordine nel vissuto letterario e non di Thomas Hardy.
Giacomo Balla, Dinamismo di un cane al guinzaglio (1912) |
Nella prima metà della vita di Hardy, l'epoca Vittoriana vide la minacciosa macchina della scienza entrare in azione ad una velocità prima d'allora mai sperimentata e di cui l'esistenza moderna doveva tenere il passo. Non solo la storica analisi secolare della Bibbia crebbe in popolarità, ma L'origine della specie di Darwin (1859) faceva la sua comparsa, ribaltando i capisaldi della società. Tuttavia, mentre la giovinezza di Hardy vide il fiorire di 'nuove idee', l'epoca non permetteva ancora a un giovane uomo proveniente da un piccolo villaggio della campagna inglese (come il suo rurale Dorset) di essere esposto ad esse.
Nato nel 1840, Hardy studiò i valori cristiani, la cosmologia e i classici latini, e pensò persino di diventare prete.
Quando poi fece la sua comparsa sulla scena londinese all'età di 22 anni, lo scrittore assunse un'attitudine tipicamente tardovittoriana, basata sul 'sobrio buio del dubbio'. Un cambiamento così repentino di prospettiva guiderà la poesia cupamente modernista, come si può ben notare ne "L'ombra sulla pietra". - Non a caso Hardy fa da ponte proprio tra il Vittorianesimo e il Modernismo pessimistico.
Intorno al 1901, in una conversazione con il critico William Archer, Hardy disse riguardo ai fantasmi, "Sono fortemente spinto a credere in quello che, per così dire, chiamiamo 'il soprannaturale'. Che pena nel non trovare delle prove ad esso!" Ancora prima della morte di Emma, lo scrittore sembra quindi essersi avvicinato all'idea di una pia illusione a riguardo. "I miei nervi vibrano molto facilmente", spiegava. "La mia predisposizione a credere è perfetta." Non sorprende dunque scoprire nelle sue poesie elegiache un uso tanto massiccio di un motivo come quello delle 'presenze ultraterrene', soprattutto per un poeta che sembra desiderare ardentemente di essere 'infestato' da esse. Ma il desiderio non basta ne "L'ombra sulla pietra" e la sensazione di Hardy che "le prove" gli verranno a mancare va a rafforzare la decisione definitiva che chiude l'opera:
Così proseguii nella radura,
E la lasciai dietro di me, nell'ombra,
Come fosse veramente un'apparizione -
La mia testa mai rivolta, per paura che il sogno fosse illusione.
Commenti
Posta un commento